Sono testimonianze commoventi che parlano della vita religiosa di Suor Faustina, fino al giorno della morte, e a più riprese, riordinando il testo, mi sono fermato perché non riuscivo a procedere. Dalle parole contenute nelle testimonianze ricaviamo uno spaccato che conferma pienamente tutto quanto è descritto nel Diario.
Ecco quanto ci comunica, in data 22 luglio 1957, Madre Maria Xavera incaricata dalla sua congregazione di tutto quanto concerne la causa di Suor Faustina e al corrente dei minimi dettagli della sua vita, alla quale abbiamo chiesto una risposta precisa sulle "sue letture" [della santa, ndr]: «Suor Faustina non ha mai letto "La storia di un’anima di S. Teresa del Bambino Gesù". Non ha mai letto opere di S. Giovanni della Croce, né quelle di S. Teresa d’Avila. Non aveva un messale, le suore della congregazione non se ne servivano ancora a quell'epoca. Aveva solo il Nuovo Testamento ed è forse la che essa ha potuto prendere visione della Lettera di S. Giovanni, di cui un passo figura nei testi liturgici della Domenica in Albis. Una vita di Suor Benigna Consolata Ferrero fu la sua lettura preferita. Testimonianza preziosa, perché esclude di primo acchito ogni influenza e reminiscenza che potesse affiorare dal subcosciente. La vita di Suor Benigna Consolata, tradotta dall'italiano, poteva stimolare una santa emulazione, ma non arricchire le sue conoscenze dottrinali».
Nella sua testimonianza la Madre Generale afferma: «A Varsavia, dove cucinava per le pensionanti, si rallegravano di poter lavorare con lei. Lo stesso accadeva in tutte le altre case. Lavorando parlava di cose edificanti e sollecitava a fare piccoli sacrifici per Nostro Signore. Quando fu trasferita da Varsavia a Grochow, si verificò un piccolo incidente: tutte le pensionanti fecero fagotto e vollero seguirla. Veramente alcune compagne di lavoro l’avrebbero preferita meno perduta in Dio. Pregava senza posa e invitava le altre a fare altrettanto».
Suor Ludvia disse: «Anche togliendo la cenere per gettarla nella pattumiera recitavamo preghiere per diverse intenzioni. Una volta a Varsavia, un’ora prima della colazione, Suor Faustina mi disse: "Sorella, preghiamo!" Era in piedi vicino al fuoco tutta accaldata e io mi affaccendavo intorno alla tavola. Dentro di me pensavo: vuol pregare ora che abbiamo tanto da fare e al momento di servire saremo sovraccariche. Allora Suor Faustina esclamò sorridendo "Santa Trinità, Ti adoro!"
Poi, rivolgendosi a me: "Forse che questo ci ha preso molto tempo?"».
Poi, rivolgendosi a me: "Forse che questo ci ha preso molto tempo?"».
Suor Cristofora: «Altre volte, quando eravamo meno affaccendate, ci mandava in cappella a salutare il Signore Gesù e a chiederGli cosa desiderava da noi, e questo durava proprio un istante».
La stessa suora dichiara che fu molto sorpresa quando venne a sapere che Suor Faustina, ancora novizia, faceva il ritiro di trenta giorni lavorando in cucina. «Le chiesi com'era possibile, dato che non si fermava mai. Mi rispose: "Faccio tutti i miei esercizi lavorando, perché niente e impossibile se lo vuole il Signore"».
Dice la sua superiora, Madre Borgia: «Ogni volta che si doveva preparare un pasto più accurato per l’arrivo di monsignore o di qualche personalità, si chiedeva sempre aiuto a lei».
I dolci fatti da lei erano rinomati e le suore coadiutrici lo confermano nelle loro testimonianze. Curando la cucina Suor Faustina aveva un fine ben determinato. Diceva: «Se le nostre pensionanti (le penitenti) mangiano bene non offenderanno Dio brontolando e così Egli sarà glorificato».
Scrive Suor Giustina: «Perciò non risparmiava la fatica e sfavillava di gioia quando poteva offrirci un piatto saporito e ben preparato».
Professa temporanea, tratta con infinita delicatezza le postulanti e le novizie che l’aiutano in cucina, senza però mancare di fermezza, come testimonia Suor Giustina: «La osservavo attentamente. Era molto paziente e piena di carità. Quando le postulanti avevano fatto una stupidaggine, come il giorno che abbiamo salato il té, si accollava tutto, ascoltava umilmente i rimproveri e si scusava con dolcezza. Poi esortava la stordita con calma e amore».
«Quando le postulanti non riuscivano a cavarsela - scrive Suor Samuela - approfittava di qualche momento libero per accomodare i loro piatti e non si tradiva mai davanti alla suora economa [che, ricordiamo, non l’amava, ndr], la quale faceva loro i complimenti».
Dice Suor Gioacchina: «Si ricordava di quanto aveva sofferto nel suo noviziato ed era pronta a prendere le difese delle novizie che venivano trattate ingiustamente. Senza dir loro nulla ne parlava alla maestra delle novizie, che ce la proponeva sempre per modello».
Suor Regina, che allora l’aiutava nei lavori pesanti, aggiunge questo particolare divertente: «Verso la fine del noviziato Suor Faustina faceva molta fatica nel vuotare l’acqua delle patate e ogni volta cercavo di darle una mano. Un giorno mi disse: "Oggi me la caverò da sola". Senza crederci troppo le restai vicina per potere, eventualmente, aiutarla. Ma notai che sollevava la marmitta come una piuma deponendola senza nessuna difficoltà. Tuttavia, quando sollevò il coperchio, vidi sul suo viso un certo stupore. Solo ora, vent'anni dopo la sua morte,capisco cos'era avvenuto. Lei vedeva rose, mentre io vedevo solo patate».
Suor Paolina testimonia che quel periodo in cucina fu una grande prova. La cosiddetta cucina era un lungo budello scuro che si doveva attraversare per andare in portineria. «In quell'incessante andirivieni al richiamo della campana dell’ingresso, Suor Faustina era sempre sorridente e non si lamentava mai, anche se spesso la urtavano passando. Per resistere in quelle condizioni ci voleva proprio una pazienza angelica». Se ne accorsero dopo con la suora che prese l’ingrato posto di Suor Faustina. «Allora cominciarono le lamentele e le proteste a non finire».
Sembra però che il maggior tempo Suor Faustina l’abbia trascorso nel panificio delle suore, come venditrice. Difatti la sua superiora generale parla prevalentemente di questo impiego, forse scaglionato in diversi anni, dato che la troviamo ancora al banco di vendita verso la fine del 1932, alla vigilia della sua partenza per la terza probazione, prima dei voti perpetui.
E' dunque molto probabile che nel febbraio 1931 Suor Faustina trascorresse le sue giornate a vendere belle pagnotte bionde e scure, come si fanno in Polonia. Suor Marcellina, sua aiutante, ci racconta che Suor Faustina aveva l’incarico di tenere la cassa e si alzava prima delle altre, tanto era il lavoro. Possiamo immaginare un impiego più umile e più monotono? Suor Faustina non sceglie i suoi clienti. Chi vuole viene e compra. Con i suoi occhi profondi ella guarda e vede ciò che forse non vorrebbe vedere e ode ciò che preferirebbe non udire mai. Fin d’allora sembra dotata di un fiuto straordinario per scoprire il peccato nel più profondo dei cuori e leggere nelle anime.
Scrive la superiora generale, Madre Michaela Moraczewska: «Circa un anno dopo la sua terza probazione sopraggiunsero alcuni cambiamenti che mi obbligarono, mio malgrado, a farla molto soffrire e più di una volta. Fu allora infatti che la superiora di Plock mi fece sapere che Suor Faustina aveva ricevuto l’ordine di dipingere l’immagine della Divina Misericordia. Finché le sue preziose esperienze mistiche restavano chiuse tra le mura del convento e rimanevano un segreto tra Dio, la sua anima e le sue superiore, me ne rallegravo di cuore vedendo in tutte queste grazie un grande dono divino per la congregazione. Fu molto diverso quando si cominciò a temere che le rivelazioni della suora si manifestassero all'esterno. Fui presa da timore all'idea di introdurre nella vita della Chiesa la minima innovazione o falsa devozione. Come superiora generale mi sentivo responsabile per la congregazione. Finché lei mi raccontava con molta franchezza e semplicità i suoi pensieri graziosi e profondi e i suoi lumi soprannaturali, l’ascoltavo volentieri e con edificazione, ma quando mi chiese di fare dei passi fuori del convento adottai un atteggiamento di estrema riserva, pur consultando più d’una volta alcuni teologi. La superiora di Plock mi aveva detto incidentalmente che Suor Faustina doveva dipingere un immagine. Quanto a lei me ne parlò solo a Varsavia, prima della sua terza probazione. "Benissimo, le risposi, le darò una tela e dei colori; si metta all'opera". Ella se ne andò molto triste e seppi dopo che si era rivolta a parecchie suore chiedendo se avrebbero saputo dipingere un immagine di Nostro Signore. Lo faceva con discrezione e senza successo, perché nessuna religiosa sapeva neppure disegnare».
Madre Irene, superiora di Suor Faustina a Wilno, nella sua deposizione al processo informativo dichiara. «Si applicava con lena a ogni lavoro. Anche se le mancava l’esperienza era convinta che avrebbe supplito con obbedienza e difatti fu così. Quando si dedicò al giardino, praticamente non ne sapeva nulla, ma a poco a poco imparò molto mettendoci tutto il suo cuore. Curava soprattutto la serra e si informava volentieri dagli esperti».
Troviamo gli stessi elogi nella deposizione della Madre Michaela, superiora generale: «Appena arrivata a Wilno, Suor Faustina si mise a lavorare con ardore in giardino. A dire il vero non vi era preparata affatto, ma con la sua intelligenza e consultando abili giardinieri, ottenne magnifici risultati. Un giorno abbiamo fatto visitare il nostro giardino a degli invitati provenienti da alte sfere governative. Una signora mi disse: "Si vede che avete una suora giardiniera qualificata!"».
Suor Clementina, la capo-giardiniera, conferma queste testimonianze: «E' per obbedienza che dopo la sua professione Suor Faustina andò a Wilno per occuparsi del giardino. Non aveva la minima nozione di giardinaggio, ma diceva: "il Signore mi benedirà anche se non so niente". Difatti un frate lazzarista, giardiniere di mestiere, l’aiutò con i suoi consigli ed ella fini per ottenere ottimi risultati, tanto nel giardino che nella serra costruita da lei stessa».
Suor Stella e Suor Adalberta hanno ricordato: «La serra le dava molto da fare perché ella disponeva solo di mezzi di fortuna e gli inverni a Wilno sono lunghi e rigidi; ma ci teneva molto per poter offrire fiori al Signore Gesù in ogni stagione, e soprattutto nei mesi in cui ogni vegetazione sembra morta e sepolta sotto un manto di neve. Le piaceva infiorare la cappella e l’altare e mostrava volentieri alle suore e alle pensionanti i begli esemplari coltivati a questo scopo. "Tutto questo è per il Signore Gesù", diceva indicando con fierezza i suoi giacinti, le sue rose e i suoi tulipani. Poi, seria: "Se l’anno prossimo sarò viva, avrò più fiori e di più rara qualità".»
Una suora conversa che per tre anni l’aiutò in giardino dichiarò che «quel lavoro era molto duro e spossante per le sue deboli forze, ma che non se ne lamentava mai. Ammiravo spesso la sua calma e il suo buon umore, perché aveva molto lavoro e pochi aiuti. Ci sarebbero volute assolutamente più persone per quella occupazione, ma lei le chiedeva invano. Dopo parecchi tentativi senza risultato mi disse dolcemente: "Non posso farci nulla se non mi danno ciò che chiedo, per quanto ne abbia detto i motivi!»
«Quell’anno - prosegue Suor Stella - pioveva a dirotto e le erbacce finivano per soffocare i teneri germogli. Vedevo bene quanto ne soffrisse. "Occorrono assolutamente più mani per il lavoro - diceva Suor Faustina - non riesco a farcela con le bambine". Difatti certe bordure furono talmente invase dalle erbacce che bisognò falciare tutto e restarono vuote. Poi l’accusarono di negligenza e ho dovuto difenderla, perché vedevo bene che non era colpa sua».
Questa dolcezza che le sue compagne notano e ammirano unanimi veniva a Suor Faustina dal suo grande spirito di fede.
Un'altra suora osserva: «Faceva ogni cosa sotto lo sguardo di Dio e in compagnia del Signore Gesù».
Racconta suor Feliciana: «Le chiesi un giorno se era felice nel suo lavoro. "Sorellina - mi rispose - faccio ciò che Dio vuole, perciò mi sento perfettamente felice. In quanto alle contrarietà, ce ne saranno dovunque e sempre; ricordiamoci che Dio le permette"».
Anche le educande subivano il suo fascino e non lo nascondevano affatto. Suor Faustina le trattava con tanta più gentilezza, in quanto le sentiva più disarmate, ferite o vulnerabili. Le testimonianze delle educande sono perciò particolarmente preziose e commoventi.
Ecco che cosa racconta Margherita, di Wilno: «Suor Faustina eclissava tutte le altre religiose per la sua dolcezza, la sua umiltà e il suo equilibrio interiore. Era molto obbediente e trattava con molto rispetto le sue superiore. Non l’ho intesa mai mormorare o lagnarsi. Non l’ho mai vista impaziente, eppure per tre anni ho lavorato vicino a lei, a Wilno. Era un angelo di pace; non ha mai detto male di nessuno, anzi cercava e trovava in tutti qualche lato buono. Pregava come un angelo, non pensava che a Dio e non sembrava mai distratta. Era allegra e sorrideva sempre parlando... Non mi ha mai confidato nulla, ma quando si parlava dell’amore di Dio era raggiante».
Un’altra educanda la trovava un po’ troppo esigente, perché l’esortava a dire il Rosario lavorando in giardino. «Quando non poteva andare in cappella per i suoi esercizi di pietà, diceva sorridente che si sarebbe santificata col lavoro. Sgobbava per quattro. Una volta, in giardino, svenne addirittura per lo sfinimento».
Ogni occasione era buona per lodare Dio o parlare di Lui.
Racconta Suor Stella: «Un giorno, durante la ricreazione l’ho raggiunta mentre raccoglieva piselli. Aveva molta fretta e cosi le diedi una mano. Fui meravigliata nel sentirla parlare di Dio, della sua bontà e del suo amore per le creature. Da quei piselli ha ricavato tutta una parabola e mi ha fatto ammirare la loro crescita: come da un granellino sboccia il fiore e il frutto... Parlava con tale ardore che mi pare di sentirla ancora».
Testimonia Suor Giustina, grande amica di Santa Faustina: «Suor Faustina era molto umile e di una semplicità infantile. Non ho mai notato che tenesse alla stima o che volesse passare per migliore di altre. Mi ricordo che un giorno venne a trovarci un prelato mentre lei era in giardino a stendere del concime. Era tutta infangata, con le mani sporche e vestita da lavoro. Questo prelato, vedendola cosi stremata dal lavoro e sporca come una sguattera, ne fu molto edificato e riconobbe subito di aver a che fare con un’anima eletta. Il fatto è che Suor Faustina si disinteressava totalmente di ciò che si poteva pensare o dire vedendola. Aveva Dio nell'anima e si sforzava di piacere solo a Lui. Ecco perché bastava avvicinarla per sentirsi attirati verso Dio. Il suo solo sguardo incitava ad amare Gesù, illuminava, riscaldava e dava forza per andare avanti».
Lavorando in cucina a Wilno, Suor Giustina era nella posizione adatta per farsi una giusta opinione della suora giardiniera che la riforniva di frutta e di legumi.
«Ci vuole un tatto notevole per districarsi in questa situazione delicata, soprattutto se si tiene conto della diversità dei caratteri e dei temperamenti; - nota Suor Felicita a questo proposito - finché Suor Faustina si occupò del giardino, non ci fu mai il minimo malinteso tra le suore cuoche e le suore giardiniere. Invece con altre suore le relazioni erano spesso abbastanza tese...».
Non contenta di farsi in quattro per fornire ciò che le veniva chiesto, Suor Faustina approfittava del minimo istante libero per aiutare la suora cuoca sopraffatta dal lavoro, ben sapendo per esperienza quali sono le necessità e le fatiche della cucina.
Suor Giustina ricorda: «Quando eravamo a Wilno, Suor Faustina lavorava in giardino e io in cucina. Ero sola e stracarica. Spesso, all'ora del coprifuoco ero ancora alle prese con pile di stoviglie da lavare. Allora Suor Faustina veniva sempre a darmi una mano, sebbene lei stessa fosse debole di salute e molto stanca. Ma l’amore per il prossimo era tale che volava in mio soccorso. Mi ricordo bene il giorno in cui la madre superiora mi mandò in città e Suor Faustina dovette sostituirmi in cucina. Quel giorno eravamo sfinite! Rientrando, fui molto meravigliata nel vederla tranquillamente seduta e tutto il lavoro finito. "Suor Faustina, le dissi, com'è possibile che lei abbia fatto tutto? Chi l’ha aiutata?" Mi rispose con un delicato sorriso: "Sono gli angeli che mi hanno aiutata, altrimenti non ci sarei riuscita”».
Nel suo diario, Suor Faustina non fa parola di questo soccorso angelico. Siccome era molto abile e intelligente, può darsi che la sua risposta sia stata una semplice battuta; tuttavia sappiamo che ella viveva in intimità col suo angelo custode, il quale spesso le appariva in modo sensibile. Nel suo candore Suor Faustina non se ne meravigliava affatto! Col passar del tempo questa presenza soccorrevole diventerà più necessaria e più manifesta.
Firmando la sua deposizione Suor Giustina afferma con convinzione che «senza aiuto non se la sarebbe potuta cavare».
Sempre sorridente e disponibile, non fa meraviglia che la sfruttino. Suor Antonietta testimonia che «al culmine del lavoro, la toglievano dal giardino per farle fare i dolci che le riuscivano a meraviglia. La sua più grande gioia era di offrire le primizie alla nostra madre superiora o al cappellano».
Ancora suor Antonietta racconta: «C’era una grande siccità e Suor Faustina era molto addolorata nel vedere le sue piante assetate. Un giorno di pieno sole e di bel tempo stabile si mise a supplicare il Signore perché mandasse la pioggia. Subito piovve a cateratte e le piante furono dissetate».
Nel 1934 al posto della Madre Irene che, a giudicare dalla sua deposizione e da certe allusioni molto discrete di Suor Faustina, l'aveva presa sul serio, venne eletta Madre Borgia. Di natura scettica, ella accordava un credito minimo a tutte queste che definiva "frivolezze" e qualificava certe confidenze di Suor Faustina come pie illusioni. La sua deposizione è molto più fredda e imbarazzata di quella di Madre Irene. Dodici anni dopo la morte di Suor Faustina, sembra proprio che esiti ancora e che preferirebbe restar fuori dalla discussione. Completamente impermeabile ai fenomeni mistici, dovette passare per molte perplessità con una religiosa cosi singolare come Suor Faustina... Parecchie volte, tra le righe, sentiamo spuntare il suo malumore. Nominata superiora a Wilno, temeva soprattutto la questione di Suor Faustina: «Con il mio scetticismo, non volevo intralciare un’opera di Dio, nel caso che tale fosse stata. D’altra parte, non desideravo affatto impegnarmi in una situazione equivoca».
La superiora di Suor Faustina commenta il fatto senza entusiasmo: «Ho saputo indirettamente che il cappellano ha fatto sforzi sovrumani per ottenere dall'Arcivescovo il permesso di esporre l’icona in pubblico. Finalmente il permesso è stato concesso. Suor Faustina ha chiesto di essere accompagnata alla cerimonia di intronizzazione. Non potendo rifiutarglielo e non volendo iniziare altre suore a tutta questa faccenda, l'accompagnai io stessa. Trovammo Don Sopocko che installava l’icona con l’aiuto dei sacrestani. Molte persone si avvicinavano e consideravano con curiosità quell'andirivieni, come pure l’immagine insolita, facendo ogni sorta di commenti; alcuni scuotevano la testa, altri alzavano le spalle, non riuscendo a capire di che si trattasse, altri ammiravano i due flussi di raggi bianchi e rossi che uscivano dal cuore, attraverso l’abito semiaperto. Per quanto ho potuto capire, credevano di aver a che fare con un nuovo modello di Sacro Cuore. Siccome la sistemazione si protraeva, lasciai Suor Faustina e tornai a casa. Dopo il ritorno di Suor Faustina non ho notato nulla di ciò che poi si è raccontato, che satana l’abbia molestata sulla strada del ritorno. Forse avrà avuto qualche esperienza interiore, ma non ha detto nulla; si vedeva solo che era esausta. Ma ciò non le impedì di riprendere immediatamente il suo lavoro».
La Madre Borgia sembra non aver conosciuto il Diario di Suor Faustina al momento della sua deposizione al processo informativo del 1951. Si tratta probabilmente di allusioni discrete del cappellano che parla espressamente di quest’argomento nella sua testimonianza e non sembra sorpreso dallo scatenamento della rabbia infernale di cui, più di una volta, farà egli stesso le spese.
Testimonianza di Don Michele Sopocko: «Non parlavo con nessuno delle difficoltà e non chiesi a Suor Faustina di pregare per queste intenzioni se non il giorno stesso in cui la cosa doveva essere decisa. Suor Faustina mi confessò di aver preso su di sé le mie sofferenze e che in quel giorno aveva sofferto come mai prima nella sua vita. Quando se ne lamentò con Gesù, Egli le disse: "Tu stessa me lo hai chiesto e ora indietreggi? Ti do solo una parte delle sue sofferenze". Mi disse quindi esattamente le cause delle mie difficoltà. Ne fui sconvolto, perché in nessun modo poteva essere al corrente di certi particolari. Ci furono molti episodi analoghi...».
La Madre Borgia testimonia: «Suor Faustina era con me molto franca e aperta di animo. Mi comunicava molto semplicemente le sue esperienze. Fu a Wilno nel 1935 durante il capitolo, dopo l’orazione in comune e la lettura di un brano di un libro ascetico, venne il momento delle osservazioni da fare alle suore. Fu allora che notai che l'attitudine di Suor Faustina, di solito cosi seria e raccolta, lasciava a desiderare. Arrossiva, sorrideva e sembrava tutta eccitata. Ciò mi disturbava molto, ma cercai di mantenere la calma, proponendomi di chiamarla subito dopo il capitolo per avere la spiegazione del suo strano comportamento. Appena rientrata nella mia camera udii un colpo discreto: era Suor Faustina che desiderava vedermi. Le chiesi subito cosa volevano dire le sue distrazioni durante il capitolo. Si mise in ginocchio vicino a me, mi chiese scusa di avermi disturbata e mi disse che non poteva dominare la sua gioia vedendo Gesù che dalla croce sopra la mia sedia approvava tutto ciò che dicevo. "Che felicità - mi disse - sapere che Dio è come le superiore!" Ascoltai con indifferenza sottolineando che, ad ogni modo, avrebbe dovuto dominarsi. Ella andò al suo lavoro. Non ne ho mai parlato a nessuno convinta che fosse una pia illusione; oggi però ne faccio partecipe la comunità. Questa deposizione fu redatta al principio del 1951, dunque sedici anni dopo l'avvenimento».
Madre Borgia scrive ancora: «Verso la metà di marzo suor Faustina venne da me molto turbata e con aria preoccupata. Quando le chiesi che cosa l'angosciava mi rispose che non sapeva che fare. Il Signore Gesù le chiedeva un gran sacrificio: aveva l’ordine di fondare una nuova congregazione e per conseguenza doveva lasciare la nostra che lei amava molto, che le aveva dato tanto, alla quale doveva tutto. D’altra parte non poteva resistere alle esigenze di nostro Signore. L’ho ascoltata tranquillamente, ma non volevo pronunciarmi su questa faccenda. Improvvisamente Dio intervenne trasferendola, per ordine della madre generale, in un’altra casa, cosicché l'indomani mattina prese il treno per Varsavia».
Nella deposizione di Suor Adalberta leggiamo quanto segue: «Ho incontrato Suor Faustina a Varsavia durante la terza probazione, nella primavera del 1933. C’era un’epidemia d’influenza e faceva molto freddo. Ho dovuto subire un esame medico. Mentre stavo entrando nell'infermeria, la dottoressa diceva a Suor Faustina che aveva appena visitato: "Sorella, non vedo nulla nei suoi polmoni". Notai in Suor Faustina un'espressione di sorpresa; era molto pallida e aveva un bruttissimo aspetto. "Eppure mi sento male" disse dolcemente. Poi uscì senza più insistere. Ammiravo la sua calma e la sua padronanza. Un prossimo futuro doveva dimostrare che aveva ben ragione!»
«Col permesso di Dio - nota la Madre Generale nella sua deposizione al processo informativo - la suora infermiera non credeva affatto alla realtà della vita interiore di Suor Faustina; la suora conversa che l’accudiva aveva molta paura del contagio, così che talvolta, come ho saputo più tardi, le cure che le davano lasciavano molto a desiderare". Secondo le testimonianze delle suore che lavoravano con lei, la sua salute soffriva spesso di difficoltà passeggere. Appena rimessa, riprendeva con zelo il suo lavoro».
Nella sua deposizione, Suor Damiana, del secondo coro, nota quanto segue: «La mia cattiva salute mi causava molti fastidi. Un giorno mi misi a piangere dicendo che nessuno mi avrebbe creduto, se il dottore non mi avesse trovato malata: che fare in questo caso? Suor Faustina mi disse; "Non si tormenti! Anch'io per tre anni sono stata curata come malata di nervi, perché i dottori non avevano capito. Ma il Signore sa tutto e questo basta...»
Testimonianza di Suor Agostina: «Ho incontrato la prima volta suor Faustina a Jozefow (Cracovia). Era venuta a chiedere alla nostra madre maestra qualcuno per aiutarla a fare delle conserve in cantina. Fui mandata io. Suor Faustina era la prima religiosa che incontravo fuori del noviziato ed ero al primo lavoro nella congregazione. Compievamo gesti meccanici e potevo osservarla bene. Ciò che soprattutto mi colpì fu il suo gioioso raccoglimento. Parlava con molto brio, senza interrompere un minuto il duro lavoro. Si vedeva che era tubercolotica; le sue labbra erano secche e come gonfie, spaccate dalla febbre. Provavo un senso di rispetto per questa suora malata, imprigionata in una cantina in un giorno di sole. L’aiutai a trasportare le conserve nella panetteria. Mi chiese subito se conoscevo quella parte della casa e, alla mia risposta negativa, mi mostrò tutte le installazioni e mi fece un enorme piacere trattandomi come un membro della famiglia. Si complimentò per il mio lavoro e mi disse: "Mi piacerebbe che tornasse domani". Poi aggiunse: "Ma la madre maestra non la lascerà venire". Difatti non l’ho più rivista».
E' per timore del contagio che la giovane novizia non fu più autorizzata ad aiutare Suor Faustina.
La deposizione di Suor Damiana (la suora infermiera): «Suor Faustina vuol essere santa, ma non lo sarà mai perché si crogiola come una principessa. [...] Divise la tavola comune fino al giorno in cui la tubercolosi attaccò i suoi intestini. Non si lamentava mai, ma spesso non toccava cibo. Una volta, verso le nove di sera, la nostra maestra le mandò due arance. Le accettò con gioia e mi disse di ringraziare tanto Suor Callista perché dalla mattina non aveva preso niente. Mi diede anche un biglietto di ringraziamento per la suora».
Riporta Suor Felice: «Una delle nostre suore le era particolarmente ostile, non la credeva veramente ammalata e il genere della sua pietà le dava sui nervi. Una suora che conosceva Suor Faustina da Wilno e che ora aveva l’incarico di infermiera a Cracovia, la sgridava un po' dicendo che si crogiolava, che mancava di energia e che si lasciava abbattere dalla malattia. Alle altre suore diceva che Suor Faustina aveva un bel voler diventare santa, non ci sarebbe mai riuscita perché faceva la principessa, si curava troppo, ecc.».
Sappiamo da Suor Crescenza che «queste canzonature la facevano soffrire molto [a Suor Faustina, ndr]», ma che le accettava senza ribellioni e senza amarezza. Quando Suor Ottilia si indignava vedendola trattata in modo così poco caritatevole, Suor Faustina la riprendeva dicendole : «In questo mondo ogni sofferenza è un guadagno per me».
«Sopportava le pene con calma e anche col sorriso, senza mai adirarsi - prosegue suor Ottilia - ma quando bisognava dire la verità lo faceva arditamente». Perciò raccomandava una grande carità per i malati; «Non passate mai davanti alla porta di una suora malata senza chiederle come sta».
Tutti le vogliono bene, dal primario dottor Silber, un ebreo convertito, fino ai malati che appena la conoscono.
La superiora, Madre Irene scrive: «Aveva per tutti un sorriso e buone parole. Mi raccontava come i malati venissero a trovarla e che il direttore andava a confidarle i suoi pensieri e le sue preoccupazioni riguardo all’ospedale. Un giorno, mentre ero lì, venne a trovarla, si sedette su una sedia e disse: "Vengo a vedere per ultimo questa buona figliola, per farmi la bocca buona"».
Suor Alfreda, infermiera di Suor Faustina dall’8 giugno 1938, aggiunge: «Spesso incontravo da lei il direttore dell’ospedale che approfittava dei momenti liberi per venire a trovarla e "discutere di argomenti spirituali", come diceva. "Parliamo di diverse cose per il mio maggior profitto!" Difatti parlavano così seriamente che non osavo interromperli quando entravo».
«Un giorno - riporta Suor Felice - andai a domandargli notizie sulla salute di Suor Faustina. Il dottore disse che andava molto male. "E lei permette che vada a messa in queste condizioni?". "Cosa vuole, il suo stato è disperato, ma è una religiosa ammirevole, così la lascio fare. Altre, al suo posto, non si alzerebbero nemmeno. Ho visto come si aggrappava al muro andando in cappella"».
E Suor Felice aggiunge: «Infatti suor Faustina aveva conquistato brillantemente questo diritto eccezionale, ma senza il minimo strappo all'obbedienza. Perspicace, il bravo dottore si arrese presto all'evidenza che ella "non era un’ammalata come tutte le altre" e che la Comunione "le era di conforto anche fisicamente"».
Il 20 aprile 1938, quando torna al sanatorio, il suo stato è disperato. Dapprima si parla di metterla nella corsia comune. Suor Felice scrive che «il buon dottore si meravigliò molto all'udire l'apprensione che la corsia comune ispirava a Suor Faustina: "Ditele da parte mia che cosi potrà fare apostolato."»
Prosegue suor Felice: «Quale non fu la nostra sorpresa nel trovare al sanatorio una cella preparata apposta per suor Faustina! C’erano pure due mazzi di fiori ad attenderla. Ci hanno detto che tre ore prima era morto un vecchio tubercolotico. Suor Faustina, tutta raggiante, mi disse sottovoce: "Com'è buono il Signore! Mi ha esaudita"».
Leggiamo dal diario della santa: «Ero stanca e mi addormentai. La sera venne a trovarmi la suora infermiera e mi disse: "Domani, sorella, non potrà comunicarsi, perché è molto stanca; vedremo in seguito come andranno le cose". Rimasi estremamente addolorata, ma risposi tranquillamente; "Va bene". E abbandonandomi al Signore cercai di addormentarmi. La mattina feci la meditazione e mi preparai alla Comunione, quantunque non dovessi ricevere Gesù. Allorché il mio desiderio e il mio amore ebbero raggiunto il massimo grado, vidi a un tratto presso il mio letto un serafino, il quale mi diede la Comunione pronunciando le parole: "Ecco il Pane degli angeli". Dopo aver ricevuto il Signore, il mio spirito sprofondò nell'amore di Dio e nello stupore. La cosa si ripeté per tredici giorni, ma non avevo la certezza se l’indomani il serafino mi avrebbe portato la Comunione. Non osavo pensarci, confidavo nella bontà di Dio. Mentre un giorno mi tormentava uno scrupolo, sorto prima della Comunione, apparve improvvisamente il serafino assieme a Gesù. Esposi il dubbio a Gesù ma, non ottenendo risposta, dissi al serafino: "Non potresti confessarmi tu?". Allora mi rispose: "A nessuno spirito celeste è dato questo potere" e allo stesso tempo l’Ostia Santa si posò sulle mie labbra».
Suor Alfreda scrive: «In un periodo in cui Suor Faustina stava molto male, il cappellano si ammalò e per parecchi giorni non vi furono messe nella cappella del sanatorio. Allorché dissi a Suor Faustina come la compiangevo mi rispose sorridendo: "Ho il Signore; questa mattina L’ho ricevuto vivo"».
Non sembra che suor Alfreda abbia capito subito la grandezza di questa confidenza.
Il dottor Silber (fu fucilato dai nazisti nel 1940) doveva avere un’opinione ben precisa della "sua" malata, a giudicare dal seguente fatto riportato da Suor Alfreda: «Quando fu deciso di riportarla al convento il dottore le chiese una piccola immagine di Santa Teresa che si trovava sull'armadio della cella. Suor Faustina gli propose allora di mandargli qualcosa di meglio dal convento. "No - disse il dottore - niente mi farà più piacere di quest’immagine che è stata testimone di tutte le sue sofferenze". Alcuni giorni dopo la morte di Suor Faustina, quando andai a trovarlo, notai con stupore che l’immagine era stata appesa sopra il letto del suo bambino di sei anni. Subito chiesi con una certa inquietudine se l’avesse disinfettata. "No - mi rispose - non temo il contagio. Suor Faustina fu una religiosa veramente straordinaria, una santa, e i santi non contaminano". Forse suor Faustina gli aveva confidato, come a suor X, che aveva chiesto al Signore "di non trasmettere a nessuno il suo male"».
A ogni modo la sua commovente testimonianza conferma quella delle religiose della congregazione del Sacro Cuore che curavano nel sanatorio.
Suor Davida Antonina scrive (1951): «Durante il suo soggiorno a Prondnik, Suor Faustina fu nel mio reparto. Potei perciò vederla e osservarla a mio agio. Sempre raccolta, molto pia, si trascinava in cappella fintanto che glielo permisero le forze. Tuttavia ogni volta, con semplicità infantile, ne domandava il permesso al primario. Sapendola così malata egli non avrebbe voluto acconsentire, ma come rifiutarglielo? Però, verso la fine del suo soggiorno nel sanatorio, cessò di andarvi. Dal punto di vista psichico era di un equilibrio perfetto. Non era esigente, tutto per lei era buono, addirittura "eccellente". Molto mortificata, mangiava tutto quello che le davano, mentre altri malati facevano i difficili. Non domandava quasi nessun servizio. Solo alla fine della sua vita una ragazza addetta alla corsia cominciò a rifarle il letto. Soffriva sorridendo, ed erano sofferenze atroci! Le avevano diagnosticato la tubercolosi all'intestino, ai polmoni e alla gola. Il dottor Silber, direttore del sanatorio, ci disse un giorno che era una cosa straordinaria sorridere in mezzo a sofferenze così crudeli. Non voleva prendere calmanti, malgrado gliene offrissero; non si lamentava mai, non chiedeva alcun sollievo. Oggi possiamo dire che ha voluto bere il suo calice, come Gesù, fino alla fine. Non sono potuta restare presso di lei fino all'ultimo perché, colpita da una infiammazione all'orecchio interno, dovetti andare a farmi operare. Prima che partissi mi ha detto: "Non abbia paura, non morirà; c’é ancora bisogno di lei". Ciò si è puntualmente verificato, benché l’operazione fosse molto delicata e di quelle che raramente riescono. Così posso ancor oggi curare i malati..."».
Suor Angèle-Médard, nella sua testimonianza, insiste soprattutto sulla "naturalezza" e l’"estrema semplicità" di Suor Faustina. «Nonostante le sue crudeli sofferenze sembrava gaia, tranquilla, addirittura felice. Per niente affettata, di una spontaneità affascinante, estremamente umile, era come luminosa. La incontravo spesso in cappella, assorta in preghiera. L’accompagnavo qualche volta in giardino ed era meraviglioso vedere come ogni filo d’erba, ogni boschetto l'avvicinasse a Dio. "Com'è tutto bello - diceva - come bisogna rendere grazie di tutto!».
E Suor Alana aggiunge nella sua deposizione: «Ascoltando il canto degli uccelli e lo stormire del vento tra gli alberi non cessava di lodare la bontà di Dio "che ha fatto tutto così bene". "Come sarà dunque il cielo?" - esclamava -. Poi restava silenziosa. Mi attirava per la sua serenità, la sua gentilezza e il suo viso cosi calmo. Dopo ogni conversazione con lei mi sentivo più zelante per slanciarmi verso Dio. Tuttavia nessuno sospettava le meraviglie della sua vita interiore. Ella non si tradiva mai».
«Prego per gli ammalati dal profondo del cuore» scrive Suor Faustina nel suo diario.
Le converse che hanno lavorato con lei testimoniano che, più di una volta, «ella interrompeva di colpo un lavoro o una conversazione e supplicava, con le lacrime agli occhi, di pregare per un’anima in agonia incatenata dal peccato mortale, perché Dio le usasse misericordia. Le chiedevo allora - annota Suor Giustina - come lo sapesse. Mi rispondeva di non farle mai queste domande, ma di aiutarla a pregare "presto" e a fare mortificazioni per queste povere anime. E io, per farle piacere, non osavo rifiutare».
A Prondnik Suor Faustina si trova direttamente a contatto con anime messe di fronte alla scelta definitiva, al loro ultimo "combattimento". Dice Suor Alfreda: «Mi diceva che i malati restavano spesso soli, perché il cappellano partiva per Cracovia subito dopo la messa e non aveva tempo per amministrare i sacramenti. E aggiungeva: "Il caso vuole che io sia quasi sempre presso gli agonizzanti; ne sono molto contenta". Quante anime si rifiutano di credere al piano di salvezza, perché sarebbe troppo bello, dicono. "Ma no - mi disse un giorno un ammalato - Dio non può salvarmi, perché ho troppi peccati sulla coscienza. Qualunque cosa faccia, sarò dannato. Per dei tipi come me non c’é misericordia; altrimenti sarebbe troppo bello". Per tutta risposta gli diedi la coroncina di Suor Faustina. L’indomani mi disse fra le lacrime: "Ho capito: la passione di Gesù pesa comunque più dei miei peccati. Portatemi un sacerdote"».
Nella sua deposizione Don Sopocko scrive: «Già a Wilno Suor Faustina mi aveva detto che si sentiva spinta a lasciare la congregazione e a fondarne un’altra. Considerai questa ispirazione come una tentazione e le consigliai di non prenderla sul serio. Più tardi, nelle sue lettere da Cracovia, me ne ha parlato spesso. Ella ottenne anche l'autorizzazione dal suo confessore e dalla Madre Generale, a condizione che anch'io l’autorizzassi. Ho avuto timore ad assumermi questa responsabilità e risposi che avrei dato il mio consenso a una condizione: che il suo confessore di Cracovia e la Madre Generale le ordinassero di andarsene. Suor Faustina non ha ottenuto mai un simile ordine ed è rimasta nella sua congregazione Fino alla morte».
Don Sopocko, che si e votato anima e corpo all'opera della Divina Misericordia, si sente perplesso e disorientato scrive: «Verso la metà di settembre del 1938 andai a Cracovia per un congresso di teologia. Trovai Suor Faustina al sanatorio di Prondnik: le avevano già amministrato l’olio santo. Sono andato a trovarla diverse volte e le ho parlato, tra l’altro, della congregazione che voleva fondare. E lei stava morendo! Le dissi allora che era stata certamente un’illusione e che forse anche il resto che mi aveva raccontato non aveva fondamento. Suor Faustina mi promise di riferirlo al Signore. L’indomani, durante la santa messa che dissi per le sue intenzioni, mi venne improvvisamente un’idea: come non ha saputo dipingere l’icona e ha dato solo delle indicazioni, così non potrà "fondare" la nuova congregazione, ma ne ha stabilito i punti base. Capii anche che il Signore la sollecitava, perché ce ne sarebbe stato bisogno in un tempo di prove imminenti. Quando, il giorno stesso, andai a trovare Suor Faustina e le chiesi se non avesse nulla da dirmi, mi rispose: "No, niente; durante la messa il Signore le ha spiegato tutto". Dopo averla lasciata mi ricordai che le avevo portato alcuni opuscoli sulla Divina Misericordia e tornai indietro per consegnarglieli, ma aperta la porta della sua camera la vidi seduta immersa nella preghiera e quasi sollevata sopra il letto. Il suo sguardo era fisso su un punto invisibile, le sue pupille dilatate, e non mi vide entrare. Non volendo disturbarla decisi di andarmene, quando improvvisamente torno in sé. Subito mi chiese scusa di non avermi sentito entrare. Le diedi gli opuscoli. Mi disse: "Arrivederci in cielo". L’ho rivista ancora una volta nel suo convento il 26 settembre. Non voleva o forse non poteva più parlare e disse solo queste parole: "Sono tutta presa dalla conversazione col mio Padre celeste"».
Non sembrava più di questo mondo...
Il 17 settembre 1938, per ordine delle sue superiore, fu riportata al convento di Cracovia per morire la. «Il tragitto fu molto penoso - nota la suora infermiera -. A varie riprese mi assalì il timore che non l’avrei riportata viva. Allora Suor Faustina, benché molto sofferente, mi consolava: "Sorella, non abbia timore, non morrò per strada!"».
Le ultime pagine del suo diario non hanno data. Da luglio la sua debole mano non può più sollevare la penna. Dobbiamo perciò interrogare le sue consorelle per raccogliere qualche particolare sui suoi ultimi momenti, di una commovente semplicità.
Ciò che colpisce nelle sue note della fine del 1937 e del 1938 e la tranquilla certezza della sua perseveranza finale. Il suo diario termina con queste parole: "Pur essendo cosi miserabile, non Ti temo, perché conosco la tua misericordia!"
Testimonia la superiora, Madre Irene: «Durante la sua ultima malattia aveva l’abitudine di dirmi: "Vedrà, Madre, che la congregazione avrà molte gioie a causa mia". Quando le chiesi se era contenta di morire nella nostra congregazione rispose: "Si". E aggiunse: "Per tutte le pene che ha avuto a causa mia, sarà consolata già in questo mondo". Pochi giorni prima della sua morte, quando andai a trovarla, si mise a sedere, mi chiese di avvicinarmi e disse: "Il Signore Gesù vuole esaltarmi e fare di me una santa". Sentii che lo diceva molto seriamente e senz'ombra di orgoglio, che questa promessa era per lei semplicemente un dono gratuito della Divina Misericordia. Uscii sconvolta, pur non avendo colto lì per lì l’importanza delle sue parole».
Due religiose della sua congregazione testimoniano: «Quando l’ho vista per l’ultima volta - scrive suor Anna - fui colpita dalla maestà della sua sofferenza. "Appena vicina al Signore pregherò molto per tutti. Perché, sorellina mia, ci sarà una grande guerra..." Ascoltandola pensavo dentro di me: farebbe meglio a pensare alla morte piuttosto che alla guerra! Se fossi stata un po’ più intelligente le avrei potuto porre delle domande, chiedere particolari, ma non mi sfiorò neppure l’idea di farlo... Però mi aveva impressionata, non so neppur io perché... "Questa guerra durerà a lungo..." proseguì Suor Faustina. "Pero voi resterete qui, a Jozefow. Bisogna solo pregare molto". Pensai: Ma sta divagando. Dove dovremmo andare? Questa casa non è forse nostra? Mi ricordai le sue parole nel 1942, quando i tedeschi tentarono di cacciarci e io consolai le nostre suore».
Scrive suor Clementina: «Sono andata a trovarla quando era molto malata. Raccolsi dei lamponi, ci misi dello zucchero e glieli portai. Non credevo potesse mangiarli, perché la tubercolosi si era estesa agli intestini. Almeno che ne senta il profumo, pensai. Le dissi: "Guardi i bei lamponi che il Signore ci ha dato!" Sorrise, chiese un cucchiaio e ne mangiò di gusto. "Per questi lamponi - mi disse - le manderò dei fiori dal Paradiso, sorellina". "Ci mancherebbe altro - risposi -. Crede che glielo permetterebbero?" [Non dimentichiamo che suor Clementina era "giardiniera capo" nel convento di Cracovia, ndr]. Ora - prosegue - ho già ottenuto molte grazie per sua intercessione! Sono andata a trovarla ancora alcuni giorni prima della morte; era molto smagrita, tutta scarnita, un vero scheletro. Ansimava. "Sorellina, le dissi, non ha paura della morte?". "Perché dovrei aver paura? - mi chiese rianimandosi improvvisamente -. Tutti i miei peccati e le mie imperfezioni si consumeranno come una festuca di paglia nelle fiamme della Divina Misericordia". Poi abbiamo parlato della guerra. Dissi: "Anche se scoppia non durerà molto, perché faremo presto a liquidarci a vicenda con i gas". "Oh, no! - rispose Suor Faustina -. La guerra durerà a lungo; terribili mali si abbatteranno sul mondo". Non capivo le sue parole; pensai alla prima guerra mondiale, alla nostra sorte e chiesi: "E la Polonia ne uscirà?". "Oh, sì, ma si sarà molto meno numerosi, perché ci saranno molti morti, ma quelli che resteranno in vita si ameranno scambievolmente e ci terranno a rivedersi". Mi misi a ridere, perché non ci capivo niente: "Sorella, ma da dove le vengono queste profezie?". L’ho presa semplicemente un po’ in giro. Ella aveva gli occhi fissi su un punto della camera, sorrise, ma non disse più nulla. Non cercai di saperne di più, perché non sospettavo niente. Altre suore hanno parlato con lei della guerra, ma senza darvi importanza. Consideravano questo argomento scabroso e inopportuno».
Solo dopo la sua morte e durante la guerra si comincerà a cercare coraggio e conforto nelle profezie di Suor Faustina. Mentre era viva nessuno l’aveva presa sul serio. Alcune religiose si erano abituate al "suo sguardo perspicace" (Suor Adalberta) che leggeva nelle anime come in un libro aperto. Più d’una ne aveva provato i benefici, ma taceva per non indisporre gli "oppositori".
In tal senso ecco cosa disse Suor Giustina: «Ella vedeva fino nel profondo della mia anima; sapeva tutte le mie cadute e i miei peccati e me lo diceva apertamente. Ne soffriva crudelmente, soprattutto quando non andavo subito a confessarmi. Mi seguiva col suo sguardo doloroso e mi ripeteva continuamente che nulla, neppure il peccato più grave, fa tanta pena a Gesù come la diffidenza».
Dice Suor Ludovina: «A varie riprese mi ha detto cose vere circa la mia anima e mi chiedevo come potesse saperle. L’ho capito solo dopo la sua morte».
«Un giorno - riferisce Suor Bozena - mi ha detto qualcosa riguardo alla mia anima. Lo presi alla leggera; allora me lo ripeté di nuovo aggiungendo: "Sappia, sorellina, che non lo dico a nome mio!". Mi misi a riflettere e capii quanto ciò fosse importante per la mia vita interiore».
«Avevo paura di Dio - dichiara suor Zeffirina - . Senza saperne nulla, suor Faustina mi mandò dal sanatorio un bigliettino con tutto quello che sentivo in me e con parole di conforto. Conto sulla sua intercessione».
«Mi ricordo molto bene che veniva a trovarmi per incoraggiarmi e consolarmi - nota suor Martina -; mi chiedevo con curiosità come conoscesse le mie prove!»
Potremmo moltiplicare le citazioni: concordano tutte.
Ma solo dopo la morte di Suor Faustina i cuori si sono aperti e le lingue si sono sciolte. Approfittando del suo passaggio a Cracovia, la superiora generale andò a dirle addio, perché la malattia faceva rapidi progressi. Era il mese di luglio. Suor Faustina si sentiva molto debole e soffriva molto. «Quest’ultimo incontro - scrive Suor Michaela - mi ha lasciato un dolcissimo ricordo: fu molto contenta di vedermi. Mi raccontò tanti episodi della sua vita nel sanatorio e l’ora della quale disponevo tra un autobus e l’altro passò in un lampo. Non abbiamo toccato argomenti spirituali. Al momento della mia partenza mi disse con un sorriso raggiante: "Se sapesse, Madre, le belle cose che mi dice il Signore!" Poi, mostrando i suoi scritti: "Le leggerà dopo la mia morte"».
Nella sua deposizione la superiora generale cita per esteso l’ultima lettera di Suor Faustina a lei indirizzata, scritta alla fine dell’agosto 1938.
Eccola:
«Mia reverendissima Madre, grazie del suo bigliettino; mi ha fatto tanto piacere, come pure le notizie riguardanti Don Sopocko. E' veramente un santo sacerdote. Madre mia, è il nostro ultimo colloquio quaggiù. Mi sento debolissima, la mia mano trema, soffro tanto quanto posso sopportare. Gesù non prova nessuno al di sopra delle sue forze; se il dolore abbonda, la grazia sovrabbonda, mi abbandono tutta alla volontà di Dio. Languisco sempre più per Lui. La morte non mi spaventa e sono in grande pace. Riesco ancora a fare i nostri esercizi, mi alzo per la messa, ma non rimango fino in fondo perché mi sento male. Approfitto come posso delle grandi grazie che Gesù ci ha lasciato nella sua Chiesa. Madre mia, la ringrazio dal profondo del cuore per tutto il bene che mi è venuto dalla congregazione, dal tempo della mia entrata fino ad oggi. La ringrazio soprattutto per la sua compassione e i suoi consigli nei momenti difficili che sembravano insormontabili. Che Dio glieli renda centuplicati! E ora molto umilmente le chiedo perdono per tutte le mie inesattezze nell'osservanza della santa regola, per il cattivo esempio che ho dato alle suore, per la mancanza di zelo nella vita religiosa, per tutte le pene che le ho dato, sia pure inconsapevolmente. La sua bontà fu una forza per me nei momenti difficili. M’inginocchio in spirito ai suoi piedi, Madre, la supplico di perdonarmi di tutto e di benedirmi per l’ora della mia morte. Confido nelle sue preghiere e in quelle delle mie care sorelle; sento che una grande forza mi assiste. Scusi la brutta calligrafia, la mia mano viene meno. Arrivederci in cielo, Madre mia! E ora, in noi e attraverso di noi, sia glorificata la Divina Misericordia. Bacio le sue mani col più profondo rispetto. Preghi per me.
Suor Faustina, abisso di miseria e piccolo nulla».
Sulla morte di Suor Faustina c'è una sola testimonianza: quella di Suor Alfreda, la sua infermiera degli ultimi giorni. Così scrive: «La fine della vita di Suor Faustina fu molto edificante. Era sempre molto amabile e paziente e non chiedeva mai nulla. Quando le domandavamo: "Soffre molto?", rispondeva: "Sì, ma sto bene cosi". Il 22 settembre chiese perdono a tutta la comunità e da quel momento ella non fu più che attesa. Il 5 ottobre si confessò per l’ultima volta dal nostro confessore straordinario Padre Andrasz. Le sue sofferenze erano al culmine. Alcune ore prima di morire chiese un’iniezione anestetica, ma subito dopo vi rinunciò per compiere fino in fondo la volontà di Dio. La sera stessa cominciò l’agonia. Alle 21 il cappellano recitò le preghiere degli agonizzanti in presenza di tutte le suore. Suor Faustina era pienamente cosciente e poté seguirle fino in fondo.
Alle 22,45, con gli occhi fissi su un’immagine di Cristo e dell’Immacolata, spirò senza subire le angosce dell’agonia».
I dolci fatti da lei erano rinomati e le suore coadiutrici lo confermano nelle loro testimonianze. Curando la cucina Suor Faustina aveva un fine ben determinato. Diceva: «Se le nostre pensionanti (le penitenti) mangiano bene non offenderanno Dio brontolando e così Egli sarà glorificato».
Scrive Suor Giustina: «Perciò non risparmiava la fatica e sfavillava di gioia quando poteva offrirci un piatto saporito e ben preparato».
Professa temporanea, tratta con infinita delicatezza le postulanti e le novizie che l’aiutano in cucina, senza però mancare di fermezza, come testimonia Suor Giustina: «La osservavo attentamente. Era molto paziente e piena di carità. Quando le postulanti avevano fatto una stupidaggine, come il giorno che abbiamo salato il té, si accollava tutto, ascoltava umilmente i rimproveri e si scusava con dolcezza. Poi esortava la stordita con calma e amore».
«Quando le postulanti non riuscivano a cavarsela - scrive Suor Samuela - approfittava di qualche momento libero per accomodare i loro piatti e non si tradiva mai davanti alla suora economa [che, ricordiamo, non l’amava, ndr], la quale faceva loro i complimenti».
Dice Suor Gioacchina: «Si ricordava di quanto aveva sofferto nel suo noviziato ed era pronta a prendere le difese delle novizie che venivano trattate ingiustamente. Senza dir loro nulla ne parlava alla maestra delle novizie, che ce la proponeva sempre per modello».
Suor Regina, che allora l’aiutava nei lavori pesanti, aggiunge questo particolare divertente: «Verso la fine del noviziato Suor Faustina faceva molta fatica nel vuotare l’acqua delle patate e ogni volta cercavo di darle una mano. Un giorno mi disse: "Oggi me la caverò da sola". Senza crederci troppo le restai vicina per potere, eventualmente, aiutarla. Ma notai che sollevava la marmitta come una piuma deponendola senza nessuna difficoltà. Tuttavia, quando sollevò il coperchio, vidi sul suo viso un certo stupore. Solo ora, vent'anni dopo la sua morte,capisco cos'era avvenuto. Lei vedeva rose, mentre io vedevo solo patate».
Suor Paolina testimonia che quel periodo in cucina fu una grande prova. La cosiddetta cucina era un lungo budello scuro che si doveva attraversare per andare in portineria. «In quell'incessante andirivieni al richiamo della campana dell’ingresso, Suor Faustina era sempre sorridente e non si lamentava mai, anche se spesso la urtavano passando. Per resistere in quelle condizioni ci voleva proprio una pazienza angelica». Se ne accorsero dopo con la suora che prese l’ingrato posto di Suor Faustina. «Allora cominciarono le lamentele e le proteste a non finire».
Sembra però che il maggior tempo Suor Faustina l’abbia trascorso nel panificio delle suore, come venditrice. Difatti la sua superiora generale parla prevalentemente di questo impiego, forse scaglionato in diversi anni, dato che la troviamo ancora al banco di vendita verso la fine del 1932, alla vigilia della sua partenza per la terza probazione, prima dei voti perpetui.
E' dunque molto probabile che nel febbraio 1931 Suor Faustina trascorresse le sue giornate a vendere belle pagnotte bionde e scure, come si fanno in Polonia. Suor Marcellina, sua aiutante, ci racconta che Suor Faustina aveva l’incarico di tenere la cassa e si alzava prima delle altre, tanto era il lavoro. Possiamo immaginare un impiego più umile e più monotono? Suor Faustina non sceglie i suoi clienti. Chi vuole viene e compra. Con i suoi occhi profondi ella guarda e vede ciò che forse non vorrebbe vedere e ode ciò che preferirebbe non udire mai. Fin d’allora sembra dotata di un fiuto straordinario per scoprire il peccato nel più profondo dei cuori e leggere nelle anime.
Scrive la superiora generale, Madre Michaela Moraczewska: «Circa un anno dopo la sua terza probazione sopraggiunsero alcuni cambiamenti che mi obbligarono, mio malgrado, a farla molto soffrire e più di una volta. Fu allora infatti che la superiora di Plock mi fece sapere che Suor Faustina aveva ricevuto l’ordine di dipingere l’immagine della Divina Misericordia. Finché le sue preziose esperienze mistiche restavano chiuse tra le mura del convento e rimanevano un segreto tra Dio, la sua anima e le sue superiore, me ne rallegravo di cuore vedendo in tutte queste grazie un grande dono divino per la congregazione. Fu molto diverso quando si cominciò a temere che le rivelazioni della suora si manifestassero all'esterno. Fui presa da timore all'idea di introdurre nella vita della Chiesa la minima innovazione o falsa devozione. Come superiora generale mi sentivo responsabile per la congregazione. Finché lei mi raccontava con molta franchezza e semplicità i suoi pensieri graziosi e profondi e i suoi lumi soprannaturali, l’ascoltavo volentieri e con edificazione, ma quando mi chiese di fare dei passi fuori del convento adottai un atteggiamento di estrema riserva, pur consultando più d’una volta alcuni teologi. La superiora di Plock mi aveva detto incidentalmente che Suor Faustina doveva dipingere un immagine. Quanto a lei me ne parlò solo a Varsavia, prima della sua terza probazione. "Benissimo, le risposi, le darò una tela e dei colori; si metta all'opera". Ella se ne andò molto triste e seppi dopo che si era rivolta a parecchie suore chiedendo se avrebbero saputo dipingere un immagine di Nostro Signore. Lo faceva con discrezione e senza successo, perché nessuna religiosa sapeva neppure disegnare».
Madre Irene, superiora di Suor Faustina a Wilno, nella sua deposizione al processo informativo dichiara. «Si applicava con lena a ogni lavoro. Anche se le mancava l’esperienza era convinta che avrebbe supplito con obbedienza e difatti fu così. Quando si dedicò al giardino, praticamente non ne sapeva nulla, ma a poco a poco imparò molto mettendoci tutto il suo cuore. Curava soprattutto la serra e si informava volentieri dagli esperti».
Troviamo gli stessi elogi nella deposizione della Madre Michaela, superiora generale: «Appena arrivata a Wilno, Suor Faustina si mise a lavorare con ardore in giardino. A dire il vero non vi era preparata affatto, ma con la sua intelligenza e consultando abili giardinieri, ottenne magnifici risultati. Un giorno abbiamo fatto visitare il nostro giardino a degli invitati provenienti da alte sfere governative. Una signora mi disse: "Si vede che avete una suora giardiniera qualificata!"».
Suor Clementina, la capo-giardiniera, conferma queste testimonianze: «E' per obbedienza che dopo la sua professione Suor Faustina andò a Wilno per occuparsi del giardino. Non aveva la minima nozione di giardinaggio, ma diceva: "il Signore mi benedirà anche se non so niente". Difatti un frate lazzarista, giardiniere di mestiere, l’aiutò con i suoi consigli ed ella fini per ottenere ottimi risultati, tanto nel giardino che nella serra costruita da lei stessa».
Suor Stella e Suor Adalberta hanno ricordato: «La serra le dava molto da fare perché ella disponeva solo di mezzi di fortuna e gli inverni a Wilno sono lunghi e rigidi; ma ci teneva molto per poter offrire fiori al Signore Gesù in ogni stagione, e soprattutto nei mesi in cui ogni vegetazione sembra morta e sepolta sotto un manto di neve. Le piaceva infiorare la cappella e l’altare e mostrava volentieri alle suore e alle pensionanti i begli esemplari coltivati a questo scopo. "Tutto questo è per il Signore Gesù", diceva indicando con fierezza i suoi giacinti, le sue rose e i suoi tulipani. Poi, seria: "Se l’anno prossimo sarò viva, avrò più fiori e di più rara qualità".»
Una suora conversa che per tre anni l’aiutò in giardino dichiarò che «quel lavoro era molto duro e spossante per le sue deboli forze, ma che non se ne lamentava mai. Ammiravo spesso la sua calma e il suo buon umore, perché aveva molto lavoro e pochi aiuti. Ci sarebbero volute assolutamente più persone per quella occupazione, ma lei le chiedeva invano. Dopo parecchi tentativi senza risultato mi disse dolcemente: "Non posso farci nulla se non mi danno ciò che chiedo, per quanto ne abbia detto i motivi!»
«Quell’anno - prosegue Suor Stella - pioveva a dirotto e le erbacce finivano per soffocare i teneri germogli. Vedevo bene quanto ne soffrisse. "Occorrono assolutamente più mani per il lavoro - diceva Suor Faustina - non riesco a farcela con le bambine". Difatti certe bordure furono talmente invase dalle erbacce che bisognò falciare tutto e restarono vuote. Poi l’accusarono di negligenza e ho dovuto difenderla, perché vedevo bene che non era colpa sua».
Questa dolcezza che le sue compagne notano e ammirano unanimi veniva a Suor Faustina dal suo grande spirito di fede.
Un'altra suora osserva: «Faceva ogni cosa sotto lo sguardo di Dio e in compagnia del Signore Gesù».
Racconta suor Feliciana: «Le chiesi un giorno se era felice nel suo lavoro. "Sorellina - mi rispose - faccio ciò che Dio vuole, perciò mi sento perfettamente felice. In quanto alle contrarietà, ce ne saranno dovunque e sempre; ricordiamoci che Dio le permette"».
Anche le educande subivano il suo fascino e non lo nascondevano affatto. Suor Faustina le trattava con tanta più gentilezza, in quanto le sentiva più disarmate, ferite o vulnerabili. Le testimonianze delle educande sono perciò particolarmente preziose e commoventi.
Ecco che cosa racconta Margherita, di Wilno: «Suor Faustina eclissava tutte le altre religiose per la sua dolcezza, la sua umiltà e il suo equilibrio interiore. Era molto obbediente e trattava con molto rispetto le sue superiore. Non l’ho intesa mai mormorare o lagnarsi. Non l’ho mai vista impaziente, eppure per tre anni ho lavorato vicino a lei, a Wilno. Era un angelo di pace; non ha mai detto male di nessuno, anzi cercava e trovava in tutti qualche lato buono. Pregava come un angelo, non pensava che a Dio e non sembrava mai distratta. Era allegra e sorrideva sempre parlando... Non mi ha mai confidato nulla, ma quando si parlava dell’amore di Dio era raggiante».
Un’altra educanda la trovava un po’ troppo esigente, perché l’esortava a dire il Rosario lavorando in giardino. «Quando non poteva andare in cappella per i suoi esercizi di pietà, diceva sorridente che si sarebbe santificata col lavoro. Sgobbava per quattro. Una volta, in giardino, svenne addirittura per lo sfinimento».
Ogni occasione era buona per lodare Dio o parlare di Lui.
Racconta Suor Stella: «Un giorno, durante la ricreazione l’ho raggiunta mentre raccoglieva piselli. Aveva molta fretta e cosi le diedi una mano. Fui meravigliata nel sentirla parlare di Dio, della sua bontà e del suo amore per le creature. Da quei piselli ha ricavato tutta una parabola e mi ha fatto ammirare la loro crescita: come da un granellino sboccia il fiore e il frutto... Parlava con tale ardore che mi pare di sentirla ancora».
Testimonia Suor Giustina, grande amica di Santa Faustina: «Suor Faustina era molto umile e di una semplicità infantile. Non ho mai notato che tenesse alla stima o che volesse passare per migliore di altre. Mi ricordo che un giorno venne a trovarci un prelato mentre lei era in giardino a stendere del concime. Era tutta infangata, con le mani sporche e vestita da lavoro. Questo prelato, vedendola cosi stremata dal lavoro e sporca come una sguattera, ne fu molto edificato e riconobbe subito di aver a che fare con un’anima eletta. Il fatto è che Suor Faustina si disinteressava totalmente di ciò che si poteva pensare o dire vedendola. Aveva Dio nell'anima e si sforzava di piacere solo a Lui. Ecco perché bastava avvicinarla per sentirsi attirati verso Dio. Il suo solo sguardo incitava ad amare Gesù, illuminava, riscaldava e dava forza per andare avanti».
Lavorando in cucina a Wilno, Suor Giustina era nella posizione adatta per farsi una giusta opinione della suora giardiniera che la riforniva di frutta e di legumi.
«Ci vuole un tatto notevole per districarsi in questa situazione delicata, soprattutto se si tiene conto della diversità dei caratteri e dei temperamenti; - nota Suor Felicita a questo proposito - finché Suor Faustina si occupò del giardino, non ci fu mai il minimo malinteso tra le suore cuoche e le suore giardiniere. Invece con altre suore le relazioni erano spesso abbastanza tese...».
Non contenta di farsi in quattro per fornire ciò che le veniva chiesto, Suor Faustina approfittava del minimo istante libero per aiutare la suora cuoca sopraffatta dal lavoro, ben sapendo per esperienza quali sono le necessità e le fatiche della cucina.
Suor Giustina ricorda: «Quando eravamo a Wilno, Suor Faustina lavorava in giardino e io in cucina. Ero sola e stracarica. Spesso, all'ora del coprifuoco ero ancora alle prese con pile di stoviglie da lavare. Allora Suor Faustina veniva sempre a darmi una mano, sebbene lei stessa fosse debole di salute e molto stanca. Ma l’amore per il prossimo era tale che volava in mio soccorso. Mi ricordo bene il giorno in cui la madre superiora mi mandò in città e Suor Faustina dovette sostituirmi in cucina. Quel giorno eravamo sfinite! Rientrando, fui molto meravigliata nel vederla tranquillamente seduta e tutto il lavoro finito. "Suor Faustina, le dissi, com'è possibile che lei abbia fatto tutto? Chi l’ha aiutata?" Mi rispose con un delicato sorriso: "Sono gli angeli che mi hanno aiutata, altrimenti non ci sarei riuscita”».
Nel suo diario, Suor Faustina non fa parola di questo soccorso angelico. Siccome era molto abile e intelligente, può darsi che la sua risposta sia stata una semplice battuta; tuttavia sappiamo che ella viveva in intimità col suo angelo custode, il quale spesso le appariva in modo sensibile. Nel suo candore Suor Faustina non se ne meravigliava affatto! Col passar del tempo questa presenza soccorrevole diventerà più necessaria e più manifesta.
Firmando la sua deposizione Suor Giustina afferma con convinzione che «senza aiuto non se la sarebbe potuta cavare».
Sempre sorridente e disponibile, non fa meraviglia che la sfruttino. Suor Antonietta testimonia che «al culmine del lavoro, la toglievano dal giardino per farle fare i dolci che le riuscivano a meraviglia. La sua più grande gioia era di offrire le primizie alla nostra madre superiora o al cappellano».
Ancora suor Antonietta racconta: «C’era una grande siccità e Suor Faustina era molto addolorata nel vedere le sue piante assetate. Un giorno di pieno sole e di bel tempo stabile si mise a supplicare il Signore perché mandasse la pioggia. Subito piovve a cateratte e le piante furono dissetate».
Nel 1934 al posto della Madre Irene che, a giudicare dalla sua deposizione e da certe allusioni molto discrete di Suor Faustina, l'aveva presa sul serio, venne eletta Madre Borgia. Di natura scettica, ella accordava un credito minimo a tutte queste che definiva "frivolezze" e qualificava certe confidenze di Suor Faustina come pie illusioni. La sua deposizione è molto più fredda e imbarazzata di quella di Madre Irene. Dodici anni dopo la morte di Suor Faustina, sembra proprio che esiti ancora e che preferirebbe restar fuori dalla discussione. Completamente impermeabile ai fenomeni mistici, dovette passare per molte perplessità con una religiosa cosi singolare come Suor Faustina... Parecchie volte, tra le righe, sentiamo spuntare il suo malumore. Nominata superiora a Wilno, temeva soprattutto la questione di Suor Faustina: «Con il mio scetticismo, non volevo intralciare un’opera di Dio, nel caso che tale fosse stata. D’altra parte, non desideravo affatto impegnarmi in una situazione equivoca».
La superiora di Suor Faustina commenta il fatto senza entusiasmo: «Ho saputo indirettamente che il cappellano ha fatto sforzi sovrumani per ottenere dall'Arcivescovo il permesso di esporre l’icona in pubblico. Finalmente il permesso è stato concesso. Suor Faustina ha chiesto di essere accompagnata alla cerimonia di intronizzazione. Non potendo rifiutarglielo e non volendo iniziare altre suore a tutta questa faccenda, l'accompagnai io stessa. Trovammo Don Sopocko che installava l’icona con l’aiuto dei sacrestani. Molte persone si avvicinavano e consideravano con curiosità quell'andirivieni, come pure l’immagine insolita, facendo ogni sorta di commenti; alcuni scuotevano la testa, altri alzavano le spalle, non riuscendo a capire di che si trattasse, altri ammiravano i due flussi di raggi bianchi e rossi che uscivano dal cuore, attraverso l’abito semiaperto. Per quanto ho potuto capire, credevano di aver a che fare con un nuovo modello di Sacro Cuore. Siccome la sistemazione si protraeva, lasciai Suor Faustina e tornai a casa. Dopo il ritorno di Suor Faustina non ho notato nulla di ciò che poi si è raccontato, che satana l’abbia molestata sulla strada del ritorno. Forse avrà avuto qualche esperienza interiore, ma non ha detto nulla; si vedeva solo che era esausta. Ma ciò non le impedì di riprendere immediatamente il suo lavoro».
La Madre Borgia sembra non aver conosciuto il Diario di Suor Faustina al momento della sua deposizione al processo informativo del 1951. Si tratta probabilmente di allusioni discrete del cappellano che parla espressamente di quest’argomento nella sua testimonianza e non sembra sorpreso dallo scatenamento della rabbia infernale di cui, più di una volta, farà egli stesso le spese.
Testimonianza di Don Michele Sopocko: «Non parlavo con nessuno delle difficoltà e non chiesi a Suor Faustina di pregare per queste intenzioni se non il giorno stesso in cui la cosa doveva essere decisa. Suor Faustina mi confessò di aver preso su di sé le mie sofferenze e che in quel giorno aveva sofferto come mai prima nella sua vita. Quando se ne lamentò con Gesù, Egli le disse: "Tu stessa me lo hai chiesto e ora indietreggi? Ti do solo una parte delle sue sofferenze". Mi disse quindi esattamente le cause delle mie difficoltà. Ne fui sconvolto, perché in nessun modo poteva essere al corrente di certi particolari. Ci furono molti episodi analoghi...».
La Madre Borgia testimonia: «Suor Faustina era con me molto franca e aperta di animo. Mi comunicava molto semplicemente le sue esperienze. Fu a Wilno nel 1935 durante il capitolo, dopo l’orazione in comune e la lettura di un brano di un libro ascetico, venne il momento delle osservazioni da fare alle suore. Fu allora che notai che l'attitudine di Suor Faustina, di solito cosi seria e raccolta, lasciava a desiderare. Arrossiva, sorrideva e sembrava tutta eccitata. Ciò mi disturbava molto, ma cercai di mantenere la calma, proponendomi di chiamarla subito dopo il capitolo per avere la spiegazione del suo strano comportamento. Appena rientrata nella mia camera udii un colpo discreto: era Suor Faustina che desiderava vedermi. Le chiesi subito cosa volevano dire le sue distrazioni durante il capitolo. Si mise in ginocchio vicino a me, mi chiese scusa di avermi disturbata e mi disse che non poteva dominare la sua gioia vedendo Gesù che dalla croce sopra la mia sedia approvava tutto ciò che dicevo. "Che felicità - mi disse - sapere che Dio è come le superiore!" Ascoltai con indifferenza sottolineando che, ad ogni modo, avrebbe dovuto dominarsi. Ella andò al suo lavoro. Non ne ho mai parlato a nessuno convinta che fosse una pia illusione; oggi però ne faccio partecipe la comunità. Questa deposizione fu redatta al principio del 1951, dunque sedici anni dopo l'avvenimento».
Madre Borgia scrive ancora: «Verso la metà di marzo suor Faustina venne da me molto turbata e con aria preoccupata. Quando le chiesi che cosa l'angosciava mi rispose che non sapeva che fare. Il Signore Gesù le chiedeva un gran sacrificio: aveva l’ordine di fondare una nuova congregazione e per conseguenza doveva lasciare la nostra che lei amava molto, che le aveva dato tanto, alla quale doveva tutto. D’altra parte non poteva resistere alle esigenze di nostro Signore. L’ho ascoltata tranquillamente, ma non volevo pronunciarmi su questa faccenda. Improvvisamente Dio intervenne trasferendola, per ordine della madre generale, in un’altra casa, cosicché l'indomani mattina prese il treno per Varsavia».
Nella deposizione di Suor Adalberta leggiamo quanto segue: «Ho incontrato Suor Faustina a Varsavia durante la terza probazione, nella primavera del 1933. C’era un’epidemia d’influenza e faceva molto freddo. Ho dovuto subire un esame medico. Mentre stavo entrando nell'infermeria, la dottoressa diceva a Suor Faustina che aveva appena visitato: "Sorella, non vedo nulla nei suoi polmoni". Notai in Suor Faustina un'espressione di sorpresa; era molto pallida e aveva un bruttissimo aspetto. "Eppure mi sento male" disse dolcemente. Poi uscì senza più insistere. Ammiravo la sua calma e la sua padronanza. Un prossimo futuro doveva dimostrare che aveva ben ragione!»
«Col permesso di Dio - nota la Madre Generale nella sua deposizione al processo informativo - la suora infermiera non credeva affatto alla realtà della vita interiore di Suor Faustina; la suora conversa che l’accudiva aveva molta paura del contagio, così che talvolta, come ho saputo più tardi, le cure che le davano lasciavano molto a desiderare". Secondo le testimonianze delle suore che lavoravano con lei, la sua salute soffriva spesso di difficoltà passeggere. Appena rimessa, riprendeva con zelo il suo lavoro».
Nella sua deposizione, Suor Damiana, del secondo coro, nota quanto segue: «La mia cattiva salute mi causava molti fastidi. Un giorno mi misi a piangere dicendo che nessuno mi avrebbe creduto, se il dottore non mi avesse trovato malata: che fare in questo caso? Suor Faustina mi disse; "Non si tormenti! Anch'io per tre anni sono stata curata come malata di nervi, perché i dottori non avevano capito. Ma il Signore sa tutto e questo basta...»
Testimonianza di Suor Agostina: «Ho incontrato la prima volta suor Faustina a Jozefow (Cracovia). Era venuta a chiedere alla nostra madre maestra qualcuno per aiutarla a fare delle conserve in cantina. Fui mandata io. Suor Faustina era la prima religiosa che incontravo fuori del noviziato ed ero al primo lavoro nella congregazione. Compievamo gesti meccanici e potevo osservarla bene. Ciò che soprattutto mi colpì fu il suo gioioso raccoglimento. Parlava con molto brio, senza interrompere un minuto il duro lavoro. Si vedeva che era tubercolotica; le sue labbra erano secche e come gonfie, spaccate dalla febbre. Provavo un senso di rispetto per questa suora malata, imprigionata in una cantina in un giorno di sole. L’aiutai a trasportare le conserve nella panetteria. Mi chiese subito se conoscevo quella parte della casa e, alla mia risposta negativa, mi mostrò tutte le installazioni e mi fece un enorme piacere trattandomi come un membro della famiglia. Si complimentò per il mio lavoro e mi disse: "Mi piacerebbe che tornasse domani". Poi aggiunse: "Ma la madre maestra non la lascerà venire". Difatti non l’ho più rivista».
E' per timore del contagio che la giovane novizia non fu più autorizzata ad aiutare Suor Faustina.
La deposizione di Suor Damiana (la suora infermiera): «Suor Faustina vuol essere santa, ma non lo sarà mai perché si crogiola come una principessa. [...] Divise la tavola comune fino al giorno in cui la tubercolosi attaccò i suoi intestini. Non si lamentava mai, ma spesso non toccava cibo. Una volta, verso le nove di sera, la nostra maestra le mandò due arance. Le accettò con gioia e mi disse di ringraziare tanto Suor Callista perché dalla mattina non aveva preso niente. Mi diede anche un biglietto di ringraziamento per la suora».
Riporta Suor Felice: «Una delle nostre suore le era particolarmente ostile, non la credeva veramente ammalata e il genere della sua pietà le dava sui nervi. Una suora che conosceva Suor Faustina da Wilno e che ora aveva l’incarico di infermiera a Cracovia, la sgridava un po' dicendo che si crogiolava, che mancava di energia e che si lasciava abbattere dalla malattia. Alle altre suore diceva che Suor Faustina aveva un bel voler diventare santa, non ci sarebbe mai riuscita perché faceva la principessa, si curava troppo, ecc.».
Sappiamo da Suor Crescenza che «queste canzonature la facevano soffrire molto [a Suor Faustina, ndr]», ma che le accettava senza ribellioni e senza amarezza. Quando Suor Ottilia si indignava vedendola trattata in modo così poco caritatevole, Suor Faustina la riprendeva dicendole : «In questo mondo ogni sofferenza è un guadagno per me».
«Sopportava le pene con calma e anche col sorriso, senza mai adirarsi - prosegue suor Ottilia - ma quando bisognava dire la verità lo faceva arditamente». Perciò raccomandava una grande carità per i malati; «Non passate mai davanti alla porta di una suora malata senza chiederle come sta».
Tutti le vogliono bene, dal primario dottor Silber, un ebreo convertito, fino ai malati che appena la conoscono.
La superiora, Madre Irene scrive: «Aveva per tutti un sorriso e buone parole. Mi raccontava come i malati venissero a trovarla e che il direttore andava a confidarle i suoi pensieri e le sue preoccupazioni riguardo all’ospedale. Un giorno, mentre ero lì, venne a trovarla, si sedette su una sedia e disse: "Vengo a vedere per ultimo questa buona figliola, per farmi la bocca buona"».
Suor Alfreda, infermiera di Suor Faustina dall’8 giugno 1938, aggiunge: «Spesso incontravo da lei il direttore dell’ospedale che approfittava dei momenti liberi per venire a trovarla e "discutere di argomenti spirituali", come diceva. "Parliamo di diverse cose per il mio maggior profitto!" Difatti parlavano così seriamente che non osavo interromperli quando entravo».
«Un giorno - riporta Suor Felice - andai a domandargli notizie sulla salute di Suor Faustina. Il dottore disse che andava molto male. "E lei permette che vada a messa in queste condizioni?". "Cosa vuole, il suo stato è disperato, ma è una religiosa ammirevole, così la lascio fare. Altre, al suo posto, non si alzerebbero nemmeno. Ho visto come si aggrappava al muro andando in cappella"».
E Suor Felice aggiunge: «Infatti suor Faustina aveva conquistato brillantemente questo diritto eccezionale, ma senza il minimo strappo all'obbedienza. Perspicace, il bravo dottore si arrese presto all'evidenza che ella "non era un’ammalata come tutte le altre" e che la Comunione "le era di conforto anche fisicamente"».
Il 20 aprile 1938, quando torna al sanatorio, il suo stato è disperato. Dapprima si parla di metterla nella corsia comune. Suor Felice scrive che «il buon dottore si meravigliò molto all'udire l'apprensione che la corsia comune ispirava a Suor Faustina: "Ditele da parte mia che cosi potrà fare apostolato."»
Prosegue suor Felice: «Quale non fu la nostra sorpresa nel trovare al sanatorio una cella preparata apposta per suor Faustina! C’erano pure due mazzi di fiori ad attenderla. Ci hanno detto che tre ore prima era morto un vecchio tubercolotico. Suor Faustina, tutta raggiante, mi disse sottovoce: "Com'è buono il Signore! Mi ha esaudita"».
Leggiamo dal diario della santa: «Ero stanca e mi addormentai. La sera venne a trovarmi la suora infermiera e mi disse: "Domani, sorella, non potrà comunicarsi, perché è molto stanca; vedremo in seguito come andranno le cose". Rimasi estremamente addolorata, ma risposi tranquillamente; "Va bene". E abbandonandomi al Signore cercai di addormentarmi. La mattina feci la meditazione e mi preparai alla Comunione, quantunque non dovessi ricevere Gesù. Allorché il mio desiderio e il mio amore ebbero raggiunto il massimo grado, vidi a un tratto presso il mio letto un serafino, il quale mi diede la Comunione pronunciando le parole: "Ecco il Pane degli angeli". Dopo aver ricevuto il Signore, il mio spirito sprofondò nell'amore di Dio e nello stupore. La cosa si ripeté per tredici giorni, ma non avevo la certezza se l’indomani il serafino mi avrebbe portato la Comunione. Non osavo pensarci, confidavo nella bontà di Dio. Mentre un giorno mi tormentava uno scrupolo, sorto prima della Comunione, apparve improvvisamente il serafino assieme a Gesù. Esposi il dubbio a Gesù ma, non ottenendo risposta, dissi al serafino: "Non potresti confessarmi tu?". Allora mi rispose: "A nessuno spirito celeste è dato questo potere" e allo stesso tempo l’Ostia Santa si posò sulle mie labbra».
Suor Alfreda scrive: «In un periodo in cui Suor Faustina stava molto male, il cappellano si ammalò e per parecchi giorni non vi furono messe nella cappella del sanatorio. Allorché dissi a Suor Faustina come la compiangevo mi rispose sorridendo: "Ho il Signore; questa mattina L’ho ricevuto vivo"».
Non sembra che suor Alfreda abbia capito subito la grandezza di questa confidenza.
Il dottor Silber (fu fucilato dai nazisti nel 1940) doveva avere un’opinione ben precisa della "sua" malata, a giudicare dal seguente fatto riportato da Suor Alfreda: «Quando fu deciso di riportarla al convento il dottore le chiese una piccola immagine di Santa Teresa che si trovava sull'armadio della cella. Suor Faustina gli propose allora di mandargli qualcosa di meglio dal convento. "No - disse il dottore - niente mi farà più piacere di quest’immagine che è stata testimone di tutte le sue sofferenze". Alcuni giorni dopo la morte di Suor Faustina, quando andai a trovarlo, notai con stupore che l’immagine era stata appesa sopra il letto del suo bambino di sei anni. Subito chiesi con una certa inquietudine se l’avesse disinfettata. "No - mi rispose - non temo il contagio. Suor Faustina fu una religiosa veramente straordinaria, una santa, e i santi non contaminano". Forse suor Faustina gli aveva confidato, come a suor X, che aveva chiesto al Signore "di non trasmettere a nessuno il suo male"».
A ogni modo la sua commovente testimonianza conferma quella delle religiose della congregazione del Sacro Cuore che curavano nel sanatorio.
Suor Davida Antonina scrive (1951): «Durante il suo soggiorno a Prondnik, Suor Faustina fu nel mio reparto. Potei perciò vederla e osservarla a mio agio. Sempre raccolta, molto pia, si trascinava in cappella fintanto che glielo permisero le forze. Tuttavia ogni volta, con semplicità infantile, ne domandava il permesso al primario. Sapendola così malata egli non avrebbe voluto acconsentire, ma come rifiutarglielo? Però, verso la fine del suo soggiorno nel sanatorio, cessò di andarvi. Dal punto di vista psichico era di un equilibrio perfetto. Non era esigente, tutto per lei era buono, addirittura "eccellente". Molto mortificata, mangiava tutto quello che le davano, mentre altri malati facevano i difficili. Non domandava quasi nessun servizio. Solo alla fine della sua vita una ragazza addetta alla corsia cominciò a rifarle il letto. Soffriva sorridendo, ed erano sofferenze atroci! Le avevano diagnosticato la tubercolosi all'intestino, ai polmoni e alla gola. Il dottor Silber, direttore del sanatorio, ci disse un giorno che era una cosa straordinaria sorridere in mezzo a sofferenze così crudeli. Non voleva prendere calmanti, malgrado gliene offrissero; non si lamentava mai, non chiedeva alcun sollievo. Oggi possiamo dire che ha voluto bere il suo calice, come Gesù, fino alla fine. Non sono potuta restare presso di lei fino all'ultimo perché, colpita da una infiammazione all'orecchio interno, dovetti andare a farmi operare. Prima che partissi mi ha detto: "Non abbia paura, non morirà; c’é ancora bisogno di lei". Ciò si è puntualmente verificato, benché l’operazione fosse molto delicata e di quelle che raramente riescono. Così posso ancor oggi curare i malati..."».
Suor Angèle-Médard, nella sua testimonianza, insiste soprattutto sulla "naturalezza" e l’"estrema semplicità" di Suor Faustina. «Nonostante le sue crudeli sofferenze sembrava gaia, tranquilla, addirittura felice. Per niente affettata, di una spontaneità affascinante, estremamente umile, era come luminosa. La incontravo spesso in cappella, assorta in preghiera. L’accompagnavo qualche volta in giardino ed era meraviglioso vedere come ogni filo d’erba, ogni boschetto l'avvicinasse a Dio. "Com'è tutto bello - diceva - come bisogna rendere grazie di tutto!».
E Suor Alana aggiunge nella sua deposizione: «Ascoltando il canto degli uccelli e lo stormire del vento tra gli alberi non cessava di lodare la bontà di Dio "che ha fatto tutto così bene". "Come sarà dunque il cielo?" - esclamava -. Poi restava silenziosa. Mi attirava per la sua serenità, la sua gentilezza e il suo viso cosi calmo. Dopo ogni conversazione con lei mi sentivo più zelante per slanciarmi verso Dio. Tuttavia nessuno sospettava le meraviglie della sua vita interiore. Ella non si tradiva mai».
«Prego per gli ammalati dal profondo del cuore» scrive Suor Faustina nel suo diario.
Le converse che hanno lavorato con lei testimoniano che, più di una volta, «ella interrompeva di colpo un lavoro o una conversazione e supplicava, con le lacrime agli occhi, di pregare per un’anima in agonia incatenata dal peccato mortale, perché Dio le usasse misericordia. Le chiedevo allora - annota Suor Giustina - come lo sapesse. Mi rispondeva di non farle mai queste domande, ma di aiutarla a pregare "presto" e a fare mortificazioni per queste povere anime. E io, per farle piacere, non osavo rifiutare».
A Prondnik Suor Faustina si trova direttamente a contatto con anime messe di fronte alla scelta definitiva, al loro ultimo "combattimento". Dice Suor Alfreda: «Mi diceva che i malati restavano spesso soli, perché il cappellano partiva per Cracovia subito dopo la messa e non aveva tempo per amministrare i sacramenti. E aggiungeva: "Il caso vuole che io sia quasi sempre presso gli agonizzanti; ne sono molto contenta". Quante anime si rifiutano di credere al piano di salvezza, perché sarebbe troppo bello, dicono. "Ma no - mi disse un giorno un ammalato - Dio non può salvarmi, perché ho troppi peccati sulla coscienza. Qualunque cosa faccia, sarò dannato. Per dei tipi come me non c’é misericordia; altrimenti sarebbe troppo bello". Per tutta risposta gli diedi la coroncina di Suor Faustina. L’indomani mi disse fra le lacrime: "Ho capito: la passione di Gesù pesa comunque più dei miei peccati. Portatemi un sacerdote"».
Nella sua deposizione Don Sopocko scrive: «Già a Wilno Suor Faustina mi aveva detto che si sentiva spinta a lasciare la congregazione e a fondarne un’altra. Considerai questa ispirazione come una tentazione e le consigliai di non prenderla sul serio. Più tardi, nelle sue lettere da Cracovia, me ne ha parlato spesso. Ella ottenne anche l'autorizzazione dal suo confessore e dalla Madre Generale, a condizione che anch'io l’autorizzassi. Ho avuto timore ad assumermi questa responsabilità e risposi che avrei dato il mio consenso a una condizione: che il suo confessore di Cracovia e la Madre Generale le ordinassero di andarsene. Suor Faustina non ha ottenuto mai un simile ordine ed è rimasta nella sua congregazione Fino alla morte».
Don Sopocko, che si e votato anima e corpo all'opera della Divina Misericordia, si sente perplesso e disorientato scrive: «Verso la metà di settembre del 1938 andai a Cracovia per un congresso di teologia. Trovai Suor Faustina al sanatorio di Prondnik: le avevano già amministrato l’olio santo. Sono andato a trovarla diverse volte e le ho parlato, tra l’altro, della congregazione che voleva fondare. E lei stava morendo! Le dissi allora che era stata certamente un’illusione e che forse anche il resto che mi aveva raccontato non aveva fondamento. Suor Faustina mi promise di riferirlo al Signore. L’indomani, durante la santa messa che dissi per le sue intenzioni, mi venne improvvisamente un’idea: come non ha saputo dipingere l’icona e ha dato solo delle indicazioni, così non potrà "fondare" la nuova congregazione, ma ne ha stabilito i punti base. Capii anche che il Signore la sollecitava, perché ce ne sarebbe stato bisogno in un tempo di prove imminenti. Quando, il giorno stesso, andai a trovare Suor Faustina e le chiesi se non avesse nulla da dirmi, mi rispose: "No, niente; durante la messa il Signore le ha spiegato tutto". Dopo averla lasciata mi ricordai che le avevo portato alcuni opuscoli sulla Divina Misericordia e tornai indietro per consegnarglieli, ma aperta la porta della sua camera la vidi seduta immersa nella preghiera e quasi sollevata sopra il letto. Il suo sguardo era fisso su un punto invisibile, le sue pupille dilatate, e non mi vide entrare. Non volendo disturbarla decisi di andarmene, quando improvvisamente torno in sé. Subito mi chiese scusa di non avermi sentito entrare. Le diedi gli opuscoli. Mi disse: "Arrivederci in cielo". L’ho rivista ancora una volta nel suo convento il 26 settembre. Non voleva o forse non poteva più parlare e disse solo queste parole: "Sono tutta presa dalla conversazione col mio Padre celeste"».
Non sembrava più di questo mondo...
Il 17 settembre 1938, per ordine delle sue superiore, fu riportata al convento di Cracovia per morire la. «Il tragitto fu molto penoso - nota la suora infermiera -. A varie riprese mi assalì il timore che non l’avrei riportata viva. Allora Suor Faustina, benché molto sofferente, mi consolava: "Sorella, non abbia timore, non morrò per strada!"».
Le ultime pagine del suo diario non hanno data. Da luglio la sua debole mano non può più sollevare la penna. Dobbiamo perciò interrogare le sue consorelle per raccogliere qualche particolare sui suoi ultimi momenti, di una commovente semplicità.
Ciò che colpisce nelle sue note della fine del 1937 e del 1938 e la tranquilla certezza della sua perseveranza finale. Il suo diario termina con queste parole: "Pur essendo cosi miserabile, non Ti temo, perché conosco la tua misericordia!"
Testimonia la superiora, Madre Irene: «Durante la sua ultima malattia aveva l’abitudine di dirmi: "Vedrà, Madre, che la congregazione avrà molte gioie a causa mia". Quando le chiesi se era contenta di morire nella nostra congregazione rispose: "Si". E aggiunse: "Per tutte le pene che ha avuto a causa mia, sarà consolata già in questo mondo". Pochi giorni prima della sua morte, quando andai a trovarla, si mise a sedere, mi chiese di avvicinarmi e disse: "Il Signore Gesù vuole esaltarmi e fare di me una santa". Sentii che lo diceva molto seriamente e senz'ombra di orgoglio, che questa promessa era per lei semplicemente un dono gratuito della Divina Misericordia. Uscii sconvolta, pur non avendo colto lì per lì l’importanza delle sue parole».
Due religiose della sua congregazione testimoniano: «Quando l’ho vista per l’ultima volta - scrive suor Anna - fui colpita dalla maestà della sua sofferenza. "Appena vicina al Signore pregherò molto per tutti. Perché, sorellina mia, ci sarà una grande guerra..." Ascoltandola pensavo dentro di me: farebbe meglio a pensare alla morte piuttosto che alla guerra! Se fossi stata un po’ più intelligente le avrei potuto porre delle domande, chiedere particolari, ma non mi sfiorò neppure l’idea di farlo... Però mi aveva impressionata, non so neppur io perché... "Questa guerra durerà a lungo..." proseguì Suor Faustina. "Pero voi resterete qui, a Jozefow. Bisogna solo pregare molto". Pensai: Ma sta divagando. Dove dovremmo andare? Questa casa non è forse nostra? Mi ricordai le sue parole nel 1942, quando i tedeschi tentarono di cacciarci e io consolai le nostre suore».
Scrive suor Clementina: «Sono andata a trovarla quando era molto malata. Raccolsi dei lamponi, ci misi dello zucchero e glieli portai. Non credevo potesse mangiarli, perché la tubercolosi si era estesa agli intestini. Almeno che ne senta il profumo, pensai. Le dissi: "Guardi i bei lamponi che il Signore ci ha dato!" Sorrise, chiese un cucchiaio e ne mangiò di gusto. "Per questi lamponi - mi disse - le manderò dei fiori dal Paradiso, sorellina". "Ci mancherebbe altro - risposi -. Crede che glielo permetterebbero?" [Non dimentichiamo che suor Clementina era "giardiniera capo" nel convento di Cracovia, ndr]. Ora - prosegue - ho già ottenuto molte grazie per sua intercessione! Sono andata a trovarla ancora alcuni giorni prima della morte; era molto smagrita, tutta scarnita, un vero scheletro. Ansimava. "Sorellina, le dissi, non ha paura della morte?". "Perché dovrei aver paura? - mi chiese rianimandosi improvvisamente -. Tutti i miei peccati e le mie imperfezioni si consumeranno come una festuca di paglia nelle fiamme della Divina Misericordia". Poi abbiamo parlato della guerra. Dissi: "Anche se scoppia non durerà molto, perché faremo presto a liquidarci a vicenda con i gas". "Oh, no! - rispose Suor Faustina -. La guerra durerà a lungo; terribili mali si abbatteranno sul mondo". Non capivo le sue parole; pensai alla prima guerra mondiale, alla nostra sorte e chiesi: "E la Polonia ne uscirà?". "Oh, sì, ma si sarà molto meno numerosi, perché ci saranno molti morti, ma quelli che resteranno in vita si ameranno scambievolmente e ci terranno a rivedersi". Mi misi a ridere, perché non ci capivo niente: "Sorella, ma da dove le vengono queste profezie?". L’ho presa semplicemente un po’ in giro. Ella aveva gli occhi fissi su un punto della camera, sorrise, ma non disse più nulla. Non cercai di saperne di più, perché non sospettavo niente. Altre suore hanno parlato con lei della guerra, ma senza darvi importanza. Consideravano questo argomento scabroso e inopportuno».
Solo dopo la sua morte e durante la guerra si comincerà a cercare coraggio e conforto nelle profezie di Suor Faustina. Mentre era viva nessuno l’aveva presa sul serio. Alcune religiose si erano abituate al "suo sguardo perspicace" (Suor Adalberta) che leggeva nelle anime come in un libro aperto. Più d’una ne aveva provato i benefici, ma taceva per non indisporre gli "oppositori".
In tal senso ecco cosa disse Suor Giustina: «Ella vedeva fino nel profondo della mia anima; sapeva tutte le mie cadute e i miei peccati e me lo diceva apertamente. Ne soffriva crudelmente, soprattutto quando non andavo subito a confessarmi. Mi seguiva col suo sguardo doloroso e mi ripeteva continuamente che nulla, neppure il peccato più grave, fa tanta pena a Gesù come la diffidenza».
Dice Suor Ludovina: «A varie riprese mi ha detto cose vere circa la mia anima e mi chiedevo come potesse saperle. L’ho capito solo dopo la sua morte».
«Un giorno - riferisce Suor Bozena - mi ha detto qualcosa riguardo alla mia anima. Lo presi alla leggera; allora me lo ripeté di nuovo aggiungendo: "Sappia, sorellina, che non lo dico a nome mio!". Mi misi a riflettere e capii quanto ciò fosse importante per la mia vita interiore».
«Avevo paura di Dio - dichiara suor Zeffirina - . Senza saperne nulla, suor Faustina mi mandò dal sanatorio un bigliettino con tutto quello che sentivo in me e con parole di conforto. Conto sulla sua intercessione».
«Mi ricordo molto bene che veniva a trovarmi per incoraggiarmi e consolarmi - nota suor Martina -; mi chiedevo con curiosità come conoscesse le mie prove!»
Potremmo moltiplicare le citazioni: concordano tutte.
Ma solo dopo la morte di Suor Faustina i cuori si sono aperti e le lingue si sono sciolte. Approfittando del suo passaggio a Cracovia, la superiora generale andò a dirle addio, perché la malattia faceva rapidi progressi. Era il mese di luglio. Suor Faustina si sentiva molto debole e soffriva molto. «Quest’ultimo incontro - scrive Suor Michaela - mi ha lasciato un dolcissimo ricordo: fu molto contenta di vedermi. Mi raccontò tanti episodi della sua vita nel sanatorio e l’ora della quale disponevo tra un autobus e l’altro passò in un lampo. Non abbiamo toccato argomenti spirituali. Al momento della mia partenza mi disse con un sorriso raggiante: "Se sapesse, Madre, le belle cose che mi dice il Signore!" Poi, mostrando i suoi scritti: "Le leggerà dopo la mia morte"».
Nella sua deposizione la superiora generale cita per esteso l’ultima lettera di Suor Faustina a lei indirizzata, scritta alla fine dell’agosto 1938.
Eccola:
«Mia reverendissima Madre, grazie del suo bigliettino; mi ha fatto tanto piacere, come pure le notizie riguardanti Don Sopocko. E' veramente un santo sacerdote. Madre mia, è il nostro ultimo colloquio quaggiù. Mi sento debolissima, la mia mano trema, soffro tanto quanto posso sopportare. Gesù non prova nessuno al di sopra delle sue forze; se il dolore abbonda, la grazia sovrabbonda, mi abbandono tutta alla volontà di Dio. Languisco sempre più per Lui. La morte non mi spaventa e sono in grande pace. Riesco ancora a fare i nostri esercizi, mi alzo per la messa, ma non rimango fino in fondo perché mi sento male. Approfitto come posso delle grandi grazie che Gesù ci ha lasciato nella sua Chiesa. Madre mia, la ringrazio dal profondo del cuore per tutto il bene che mi è venuto dalla congregazione, dal tempo della mia entrata fino ad oggi. La ringrazio soprattutto per la sua compassione e i suoi consigli nei momenti difficili che sembravano insormontabili. Che Dio glieli renda centuplicati! E ora molto umilmente le chiedo perdono per tutte le mie inesattezze nell'osservanza della santa regola, per il cattivo esempio che ho dato alle suore, per la mancanza di zelo nella vita religiosa, per tutte le pene che le ho dato, sia pure inconsapevolmente. La sua bontà fu una forza per me nei momenti difficili. M’inginocchio in spirito ai suoi piedi, Madre, la supplico di perdonarmi di tutto e di benedirmi per l’ora della mia morte. Confido nelle sue preghiere e in quelle delle mie care sorelle; sento che una grande forza mi assiste. Scusi la brutta calligrafia, la mia mano viene meno. Arrivederci in cielo, Madre mia! E ora, in noi e attraverso di noi, sia glorificata la Divina Misericordia. Bacio le sue mani col più profondo rispetto. Preghi per me.
Suor Faustina, abisso di miseria e piccolo nulla».
Sulla morte di Suor Faustina c'è una sola testimonianza: quella di Suor Alfreda, la sua infermiera degli ultimi giorni. Così scrive: «La fine della vita di Suor Faustina fu molto edificante. Era sempre molto amabile e paziente e non chiedeva mai nulla. Quando le domandavamo: "Soffre molto?", rispondeva: "Sì, ma sto bene cosi". Il 22 settembre chiese perdono a tutta la comunità e da quel momento ella non fu più che attesa. Il 5 ottobre si confessò per l’ultima volta dal nostro confessore straordinario Padre Andrasz. Le sue sofferenze erano al culmine. Alcune ore prima di morire chiese un’iniezione anestetica, ma subito dopo vi rinunciò per compiere fino in fondo la volontà di Dio. La sera stessa cominciò l’agonia. Alle 21 il cappellano recitò le preghiere degli agonizzanti in presenza di tutte le suore. Suor Faustina era pienamente cosciente e poté seguirle fino in fondo.
Alle 22,45, con gli occhi fissi su un’immagine di Cristo e dell’Immacolata, spirò senza subire le angosce dell’agonia».
Testimonianze davvero edificanti su una grande Santa!
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